Breve viaggio: Tokyo – Kanasawa – Kyoto – Hiroshima.
Il Giappone visto con gli occhi di un vecchio ragazzo. Ordine, pulizia, attenzione per i particolari, l’arte del cibo, la religione della natura, le ombre del sesso e tante altre cose che ho pensato ma non ho fotografato!
La foto che non ho fatto: un’aiuola di pochi metri sul bordo di una rotonda stradale urbana. Quattro operai con giubbetti gialli ed elmetto bianco: un uomo impugna il tagliaerba a motore, un altro rastrella l’erba falciata e altri due sostengono dei pannelli di tela per impedire che i fili erbacei possano finire sull’asfalto.
Ho visitato nel parco della pace il memoriale e il museo che ricordano l’esplosione della bomba atomica sopra Hiroshima, e non ho trovato una parola di condanna degli Stati Uniti e tantomeno una parola di rancore verso gli americani.
Modernità e spiritualità non sono così contrapposte come pensavo; sembra che abbiano trovato un equilibrio, non alla pari ovviamente. Anche se le tecnologie digitali hanno invaso le città, si conservano rigidi schemi di comportamento individuale e di ruolo sia sociale sia produttivo.
Per strada come su tram e metro la gente è silenziosa, pochi alzano la voce; i ragazzi ripiegati sui loro smartphone e gli altri su sé stessi – generalizzo – si muovono in modo sempre ordinato anche nel disordine. Nei piccoli ristoranti di cucina tradizionale l’atmosfera è un’altra, più ciarliera, più rilassata: si parla col cuoco, fra una battuta e l’altra non ti accorgi del tempo e il piatto è pronto sotto i tuoi occhi. Sakè!… Kampai.
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Foto di strada, senza posa e cavalletto. L’occhio fotografico non sempre collima con i pensieri. Si distrae e segue schemi geometrici di linee e colori elaborati dall’occhio e confrontati con idee e memorie del corpo. L’estetica di una foto – la sua struttura e le sue ragioni – appare solo dopo averla fatta. Anche se già prima sono consapevole del motivo e dello scopo, è l’azione di fotografare che genera e realizza l’immagine attraverso un movimento del corpo che è in gran parte indipendente dal ragionare, ed è invece molto condizionato dall’assetto del corpo, dal suo stato, dal suo sentirsi all’interno e dalla sua posizione nello spazio e nella luce. Il senso dell’immagine fotografica arriverà dopo, quando rivedrò l’immagine ritagliata dalla sua scena.
Contesto culturale e memoria personale regolano o condizionano prima la scelta di scattare quella foto e dopo sono determinanti nell’interpretazione del soggetto e nella scelta dello scatto. Il “durante”, il clic, è l’attimo della fotografia, è il momento della libertà? Cazzata!